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Ordinanza n. 52 del 15 marzo 2019

Pubblicato il: 20/03/2019

Anticipata in via teorica la concessione dell’assegno ai nuclei familiari e di maternità per i cittadini di Paesi terzi in possesso di permesso di soggiorno per motivi familiari

Atti Consulta, Diritto Civile Assistenza sociale, CEDU, Famiglia, Immigrazione, INPS, Maternità

In data 13.12.2016, sono stata sollevate dal Tribunale ordinario questioni di legittimità costituzionale riguardo l’art. 65, co. 1, L. 448/1998 e l’art. 74, co. 1, Dlgs 151/2001 (per contrasto con gli artt. 3, 10, 38 Cost., e 14 CEDU) nella parte in cui limitano ai soli cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo (ome certificato dal “Permesso di soggiorno UE” – ex Carta di soggiorno - e non da mero “Permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare”), l’accesso all’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori e all’assegno di maternità. In altre parole è stata avanzata di fronte alla Corte Costituzionale una presunta discriminazione ai danni dei cittadini di paesi terzi nel godimento di prestazioni assistenziali, dovendo essi premunirsi, diversamente dai cittadini italiani, di un ulteriore requisito burocratico.

Il 15.3.2019, la Consulta ha dichiarato che le argomentazioni del Tribunale non sono state sufficienti a soddisfare l’onere motivazionale richiesto ai fini dell’ammissibilità della questione di fronte ad essa. Tuttavia, ha lasciato intendere che la questione si sarebbe potuta risolvere positivamente se solo il giudice rimettente avesse preso in esame, tra le disposizioni presumibilmente violate, gli artt. 3 e 12 della direttiva 2011/98/UE (in particolare il principio di parità di trattamento in materia di sicurezza sociale), valutandone l’applicabilità nel caso di specie sottoposto al suo giudizio.

ANALISI

A una cittadina marocchina, legalmente e continuativamente soggiornante in Italia da oltre cinque anni con permesso di soggiorno per motivi familiari (ricongiungimento a marito), madre di tre figli nati nel paese (anch’essi muniti di permesso di soggiorno), si negava l’assegno ai nuclei familiari e a quello di maternità a causa del mancato possesso del Permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (di seguito Permesso UE). La signora ricorreva in giudizio contro l’INPS per accertare il proprio diritto alle provvidenze.

In data 13.12.2016, il Tribunale ordinario sollevava di fronte alla Consulta questioni di legittimità costituzionale sugli artt. 65, co. 1, L. 448/1998 e 74, co. 1, Dlgs 151/2001, ove limitano ai soli stranieri dotati di Permesso UE l’accesso agli assegni. Il giudice indicava come nel caso di specie il titolo di soggiorno fosse l’unico ostacolo all’accoglimento della domanda e di non poter disapplicare la legge in via interpretativa, in quanto pretende chiaramente il Permesso UE. Il rimettente dichiarava la normativa in contrasto con l’art. 3 Cost., laddove attua un’ingiustificata disparità di trattamento tra cittadini italiani e stranieri legalmente soggiornanti nel paese nel chiedere soltanto ai secondi un requisito ulteriore per il godimento del diritto. Giudicava, altresì, le norme irragionevoli in quanto subordinano la ricezione degli assegni al possesso di un permesso, per ottenere il quale è necessario un reddito minimo. Infine, denunciava il contrasto con gli att. 10, sec. co., 38 Cost. e 14 CEDU, che vietano le discriminazioni basate sull’origine nazionale, nonchè le limitazioni dei diritti per il tramite di adempimenti amministrativi eccessivi.

La Corte Costituzionale (ordinanza 15.3.2019) ritiene le argomentazioni del Tribunale insufficienti ad ammettere la questione di legittimità, poiché basate su una ricostruzione incompleta del quadro normativo, riferibile genericamente a sole norme di principio o impropriamente alla normativa europea sullo status dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, non riferibile al caso in esame, considerato che la signora è sprovvista di detto status.

Al contrario, il rimettente non ha richiamato la Dir. 2011/98/UE (artt. 3 e 12), relativa alla procedura di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro. Essa riconosce comuni diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente negli Stati membri, in particolare, prevede per determinate categorie, il diritto alla parità di trattamento in materia di sicurezza sociale con i cittadini dello Stato membro in cui soggiornano.

La direttiva si applica anche ai cittadini di paesi terzi che sono stati ammessi in uno Stato membro per finalità diverse dall’attività lavorativa a norma del diritto comunitario o nazionale, in possesso di un normale permesso di soggiorno e ai quali è comunque consentito lavorare (esattamente come nel caso della signora). Il titolo già posseduto dalla mamma dei tre figli, dunque, rientra tra i beneficiari individuati dalla direttiva, posto che il permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare non preclude di lavorare in Italia. Quanto alla individuazione degli ambiti della sicurezza sociale a cui si applica il principio di parità di trattamento, la suddetta direttiva include espressamente le prestazioni di maternità e le prestazioni familiari.

In definitiva, la Corte anticipa in via teorica una probabile futura pronuncia di illegittimità sulla normativa analizzata, se solo un giudice in un caso analogo prendesse in esame la normativa corretta.

Leggi la sentenza

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