Una albanese e un serbo (legalmente soggiornanti in Italia da vent’anni con permesso di soggiorno per motivi familiari) citavano in giudizio l’INPS poiché non riconosceva loro l’assegno sociale (art. 3, co 6, L. 335/1995), essendo privi del Permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (ex Carta di soggiorno – Permesso UE di seguito). L’assegno è dato a coloro che hanno compiuto 67 anni, si trovano in condizioni svantaggiate e hanno soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale.
I Tribunali aditi sollevavano questioni di legittimità costituzionale sull’art. 80, co. 19, L. 388/2000, in quanto subordina il diritto a percepire l’assegno per gli stranieri extracomunitari alla titolarità del Permesso UE (scoglio ineliminabile in via interpretativa). La norma violerebbe l’art. 3 Cost., introducendo una ingiustificata disparità di trattamento tra cittadini italiani/comunitari e stranieri legalmente soggiornanti in Italia, laddove solo per i secondi è previsto il possesso del Permesso UE. Sarebbe anche irragionevole, vista la contraddittorietà esistente nel subordinare una prestazione assistenziale a un requisito (il Permesso UE) il cui ottenimento presuppone l’esistenza di un reddito (oltre a un regolare soggiorno quinquennale, un alloggio idoneo, la conoscenza della lingua nazionale) e alla cui mancanza la prestazione dovrebbe sopperire. Inoltre, contrasterebbe con gli artt. 10, secondo co., Cost. e 14 CEDU, disattendendo il divieto di ogni discriminazione in base all’origine nazionale, per le persone legittimamente soggiornanti nel territorio dello Stato. Secondo i rimettenti, se al legislatore è consentito dettare norme non palesemente irragionevoli, che regolano l’ingresso e la permanenza di extracomunitari in Italia, una volta confermato il diritto a soggiornare, non si potrebbero discriminare stabilendo nei loro confronti particolari limitazioni per il godimento dei diritti fondamentali. Infine, lamentavano la violazione degli artt. 38 e 117, primo co. Cost. per via dal carattere ridondante e discriminatorio del requisito ulteriore del Permesso UE essendo l’assegno sociale già subordinato allo stato di bisogno del richiedente e della sua famiglia, nonchè allo stabile soggiorno ultradecennale in Italia.
Nel giudizio INPS e Presidente del Consiglio chiedevano l’inammissibilità della questione, ricordando come la Consulta abbia già ritenuto ragionevole l’art. 80 e che il titolo richiesto agli stranieri non si risolve in un mero ostacolo burocratico, ma è volto a scoraggiare il c.d. turismo assistenziale: la natura di diritto finanziariamente condizionato, impone un bilanciamento delle prestazioni erogate con le esigenze di compatibilità finanziaria della relativa spesa.
La Corte Costituzionale giudica infondata la questione (sentenza 15.3.2019), perchè la condizione di soggiorno legale continuativo per almeno dieci anni nel territorio nazionale (art. 20, co. 10, D.L. 112/2008), ha natura cumulativa (non sostitutiva), rispetto al possesso del requisito del Permesso UE. Insomma, il godimento dell’assegno sociale per gli extracomunitari presuppone la ricorrenza di entrambi i requisiti. Nel rigettare le accuse di discriminazione e irragionevolezza, stabilisce che nei limiti dell’art. 11, Dir. 2003/109/CE e dei diritti fondamentali dell’uomo, stante anche la limitatezza delle risorse disponibili, il legislatore può discrezionalmente riservare talune prestazioni assistenziali ai soli cittadini e alle persone equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale a generare un nesso adeguato tra la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale dello Sato e l’erogazione della provvidenza (esclusione completa dello straniero). Allo stesso modo, può esigere dal cittadino extracomunitario ulteriori requisiti, non manifestamente irragionevoli, che ne comprovino un inserimento stabile e attivo nella società per l’erogazione della prestazione, che diventa un riconoscimento del concorso al progresso materiale e spirituale della società, in un apprezzabile arco di tempo (esclusione condizionata). In tal senso, il Permesso UE è subordinato a requisiti che sono indici ragionevoli di partecipazione e inclusione (reddito, alloggio, conoscenza lingua) e attribuisce maggiori diritti rispetto al mero permesso di soggiorno provvisorio: ha durata indeterminata, consente di entrare nel paese senza visto, svolgervi ogni attività lavorativa, accedere ai servizi e alle prestazioni pubbliche in materia sanitaria, scolastica, sociale e previdenziale, e partecipare alla vita pubblica.
Neppure convince la Corte il fatto che il conseguimento dell’assegno, previo possesso del Permesso UE sarebbe irragionevole, posto che quest’ultimo si ottiene solo se si ha un reddito. Infatti, non è detto che lo straniero, una volta conseguito il Permesso UE, sia in grado di preservare le medesime condizioni economiche. La vocazione solidaristica dell’assegno sociale si manifesta soccorrendo chi, nonostante l’ingresso stabile nella collettività, sia incorso in condizioni di indigenza. L’assegno, in questi casi, presuppone la perdita del reddito che aveva concorso all’ottenimento del Permesso UE.
Un obbligo di attribuire l’assegno sociale allo straniero privo del Permesso UE non deriva neppure dalla Dir. 2011/98/UE che, impone la parità di trattamento tra i lavoratori stranieri e i cittadini dello Stato ospitante per quanto riguarda il settore della sicurezza sociale, non venendo qui in considerazione la posizione di lavoratori.
In definitiva, l’assegno sociale è una prestazione riservata a coloro che, privi di reddito adeguato e di pensione, abbiano raggiunto un’età non più idonea alla ricerca di un’attività lavorativa (67 anni) e mantengano la residenza in Italia; tale prestazione è pertanto legittimamente riservata ai cittadini italiani, ai cittadini europei e ai cittadini extracomunitari titolari di Permesso UE.
L’uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale tra cittadini italiani/comunitari e cittadini extracomunitari, senza alcun distinguo territoriale, è impostasoltanto con riguardo a prestazioni che, nel soddisfare bisogni primari, riflettano il godimento dei diritti inviolabili della persona. In altre parole, è obbligatorio corrispondere solo le prestazioni volte alla sopravvivenza del soggetto (es. tutela della salute), con specifico riguardo a: pensione di inabilità, assegno di invalidità, indennità per ciechi e per sordi, indennità di accompagnamento.