Il tempo trascorso dal minore in messa alla prova, conclusasi negativamente, non può essere sottratto alla pena
Atti Consulta, Diritto Processuale Penale Corte Costituzionale, Procedura penale, Tribunale minori
Con ordinanza del 12.4.2018, la Corte di Cassazione promuoveva, in riferimento agli artt. 3, 31 e 27 Cost., giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 29 DPR 448/1988 e 657-bis, cpp., visto che non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova di un minore, il giudice determini la pena considerando la consistenza e la durata delle limitazioni patite durante la stessa.
La Corte Costituzionale giudica infondata la questione in virtù della funzione educativa (e non sanzionatoria) tipica dell’istituto minorile, a prescinderne dall’esito.
Nel 2011, un ragazzo rispondeva davanti al Tribunale per i minori di concorso in ricettazione. Sospeso il processo, beneficiava per un anno della messa alla prova (art. 28, DPR 448/1988) tramite un progetto di servizio sociale (studio, sport, ecc.). Sottrattosi all’adempimento, il GUP lo condannava a sette mesi circa di reclusione. Nel 2014, di nuovo davanti al giudice per violenza sessuale di gruppo aggravata e continuata, si ri-sottraeva agli obblighi del beneficio (concesso ora per un anno e sei mesi). Il GUP lo condannava due anni e sei mesi di reclusione. Il Procuratore della Repubblica determinava la pena complessiva in tre anni, un mese e qualche giorno, nonostante la richiesta ex art. 657-bis cpp di detrarre il tempo trascorso in prova (l’articolo prevede per gli adulti che, in caso di revoca o esito negativo della prova, il pm determini la pena detraendo, tramite a un’equazione automatica, il tempo trascorso in prova). La disposizione veniva ritenuta inapplicabile al caso trattato, perché la disciplina minorile (art. 29 DPR 448/1988) prevede solo che il giudice dichiari estinto il reato se ritiene che la prova abbia dato esito positivo, altrimenti disponga la prosecuzione del processo. Il condannato proponeva incidente di esecuzione, ma il giudice dell'esecuzione respingeva la richiesta per ragioni simili. Avverso tale decisione, ricorreva in Cassazione.
Il 12.4.2018, quest’ultima promuoveva giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 29 DPR 448/1988 e 657-bis, cpp., ove non prevedono che, in caso di esito negativo della messa alla prova del minore, il giudice determini la pena considerando la consistenza e la durata delle limitazioni patite durante la stessa.
Essa riteneva inapplicabile estensivamente l'art. 657-bis cpp poiché incompatibile con le caratteristiche proprie della messa alla prova dei minori (nessuna limitazione in ordine ai destinatari o ai reati; nessuna necessità del consenso; prescrizioni modulabili; differenti durate; possibile esito negativo anche a prescrizioni rispettate; istanze educative). Tuttavia, osservava, l'esclusione di ogni rilevanza del percorso del minore, seppur negativo, causerebbe differenze ingiustificate con gli adulti, violando il principio di uguaglianza (art. 3 Cost), specie quando è negata la libertà di movimento. L'impossibilità di scomputo violerebbe anche gli artt. 31 e 27 Cost., per cui il processo minorile deve educare mediante trattamento sanzionatorio flessibile. Concludeva pragmaticamente che l’accoglimento delle questioni, le avrebbe permesso di rinviare al giudice della esecuzione la valutazione della sanzione in ragione della prova svolta.
Il Presidente del Consiglio chiedeva l’infondatezza della questione perché la Cassazione invocava, non tanto un’estensione dell’art. 657-bis cpp, ma l'introduzione nell’ordinamento di un nuovo sistema di computo (discrezionale, non automatico come quello degli adulti) impossibile da effettuarsi per la Corte Costituzionale. Inoltre, dichiarava che la previsione dello scomputo presuppone l’attribuzione di una natura sanzionatoria all'istituto, ma che tale presupposto è impossibile da concepire perché mentre l’istituto ordinario è un trattamento facoltativo, alternativo alla pena e incentrato sul lavoro, quello dei minori è privo di obblighi lavorativi e la finalità educativa è tale da consentire di non dichiarare estinto il reato neanche se il minore rispetta il progetto.
Nella sentenza odierna, la Consulta giudica infondata l’eccezione che nega la propria facoltà di introdurre nuovi criteri di valutazione sull’argomento. Infatti, ricorda come la sollecitazione ad attribuire un potere discrezionale distinto dall'art. 657-bis cpp, appaia modellata sulla sentenza 343/1987, che dichiarò illegittimo l’art. 47, co 10, L 354/1975, nella parte in cui (in caso di revoca per comportamento incompatibile) non consentiva al Tribunale di sorveglianza di determinare la pena considerando la durata delle limitazioni patite nell’affidamento in prova.
Nel merito, la Corte nota che il rimettente, nonostante apprezzi le differenze funzionali tra regime ordinario e minorile, denuncia l'incongruità del secondo con i precetti costituzionali, temendo una pena sproporzionata rispetto alla gravità del fatto (preclusa la possibilità di rideterminarla) con pregiudizio per la finalità educativa.
La Consulta spiega la profonda distinzione tra messa alla prova dei minori con l'omologo istituto degli adulti sia con l'affidamento in prova al servizio sociale, entrambi caratterizzati da natura sanzionatoria, poiché concepiti come mezzi di espiazione della pena alternativi al carcere, tanto che il loro esito positivo estingue ogni effetto penale. In particolare, la messa alla prova degli adulti è un trattamento anticipato, rimesso alla spontanea osservanza da parte dell’imputato, che si poggia su un sommario accertamento della responsabilità, anche se il giudice deve sempre verificare che non ricorrano le condizioni per il proscioglimento. Componente essenziale di tale trattamento sanzionatorio è l'obbligo di prestare lavoro gratuito di pubblica utilità, oltre al rispetto delle prescrizioni che prevedono di eliminare le conseguenze del reato e/o incidono sulla libertà del soggetto (obbligo di dimora, divieto di frequentare alcuni luoghi). Inoltre, il beneficio previsto per gli adulti mantiene un rapporto di proporzionalità rispetto ai fatti commessi (è concesso per reati di non particolare gravità).
Una logica diversa caratterizza la messa alla prova dei minori. Il beneficio viene concesso accertata la responsabilità del soggetto ed è svincolato da rapporti di proporzionalità, essendo consentita per qualsiasi reato. Le prescrizioni da osservare, definite discrezionalmente da giudice e servizi sociali, devono riparare le conseguenze del reato, promuovere la conciliazione con la vittima, coinvolgere la famiglia e l’ambiente di vita del minore, gli operatori di giustizia e gli enti locali. Non esistono qui obblighi di prestazioni lavorative. Il programma è orientato a stimolare un percorso educativo, finalizzato all'evoluzione della personalità del minore nel rispetto dei valori civili. Le eventuali limitazioni alla sua libertà (percorsi scolastici, professionali o terapeutici, residenza in casa-famiglia) devono considerarsi come altrettante occasioni educative, volte a stimolare la critica del proprio passato. Voler leggere tale situazione come una sanzione anticipata per un reato commesso, rispetto alla pena che potrebbe essere inflitta al termine del processo (soprattutto in caso di fallimento della prova), significherebbe fraintenderne il significato, con il rischio di condotte opportunistiche da parte dell'imputato, indotto a rispettare formalmente le prescrizioni al fine di evitare la pena, senza però impegnarsi in un percorso reale. La Consulta vede simili rischi nel caso concreto e dichiara infondata la questione.