La rappresentanza sanitaria esclusiva non consente automaticamente all’amministratore di sostegno di rifiutare le cure per il mantenimento in vita del malato
Il giudice tutelare del Tribunale ordinario di Pavia reputava di attribuire all’amministratore di sostegno di un malato senza capacità decisionale la rappresentanza sanitaria esclusiva. Tuttavia, lamentando che l’art. 3, co 4 e 5, L 219/2017 (consenso informato e disposizioni anticipate di trattamento) avrebbe dato all'amministratore il potere di rifiuto delle cure per il mantenimento in vita, sollevava questione di legittimità costituzionale della norma, per chiarire se un amministratore con rappresentanza sanitaria esclusiva, in assenza di disposizioni anticipate di trattamento (DAT), possa esprimere il rifiuto senza autorizzazione del giudice.
Il rimettente affermava che privare il malato del diritto di decidere sui trattamenti necessari al mantenimento in vita violerebbe gli artt. 2, 3, 13 e 32 Cost. Alla persona si deve riconoscere il diritto all'autodeterminazione e al rifiuto delle cure in base a valutazioni personalissime di natura etico/religiosa, potendo l'incapacità influire soltanto sulle modalità di esercizio del diritto (cedibile a terzi). Affinché il rifiuto sia espressione dell'interessato, la sua volontà dovrebbe risultare dalle DAT o essere ricostruita di fronte al giudice tutelare (tramite elementi presuntivi, audizioni di conoscenti o altri strumenti). Consentire all'amministratore di ricomporre autonomamente la volontà dell'interessato, annichilirebbe la natura soggettiva del diritto a decidere sulla propria esistenza, poiché si attribuirebbe a terzi un potere incondizionato di vita o di morte. A nulla varrebbe nemmeno l’intervento del giudice previsto in caso di rifiuto del medico all’interruzione delle cure, trattandosi di evento ipotetico.