L’interdittiva antimafia non vìola le regole costituzionali
La complessa legislazione di contrasto alla mafia, segnatamente gli articoli 89-bis e 92, commi 3 e 4, del Decreto legislativo 6 settembre 2011, n.159, (Codice Antimafia) viene sottoposta alla verifica di compatibilità costituzionale, su iniziativa del Tribunale ordinario di Palermo, cui aveva esperito ricorso in via di urgenza un imprenditore sottoposto a interdittiva dalla competente Commissione regionale per l’artigianato, in esecuzione di apposita disposizione della Prefettura competente.
Il rimettente condivide, in fase di argomentazione, le riserve ex artt.3, 41 e 117 della Carta fondamentale, in associazione con il disposto 2 del Protocollo n.4 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU), rappresentando l’incongruenza della decisione amministrativa, in luogo della determinazione giurisdizionale, ai fini di precludere l’esercizio imprenditoriale.
La Corte respinge immediatamente i riferimenti alle normative europee, passibili di ampliare indebitamente l’oggetto della fattispecie, ma, nell’enfatizzare la elevata e notoria pervasività delle organizzazioni criminali, in grado di alterare il corso delle funzioni economiche, rimarca l’indispensabilità di una efficace e tempestiva azione amministrativa a supporto dell’accertamento penale.
Un provvedimento di interdizione professionale prospetta caratteri di provvisorietà oltre che di impugnabilità dinnanzi alla giurisdizione competente, ma, pur se radicato su elementi sintomatici e indiziari, strutturalmente più vaghi di quelli giudiziari, non inficia né i requisiti di legalità né le rigide condizioni di tassatività sostanziale. Benché la normativa affrontata sia stata impostata, in ragione della sollecita replica alle contingenze criminali, con soluzioni di genericità, l’impiego dello strumento amministrativo completa e rinsalda le prescrizioni penali, senza arrecare limitazioni o nocumento alla libertà di impresa.
Il rilievo sulla lacuna normativa, causa di privazione delle fonti di sostentamento del soggetto passivo, costituisce obbligo a carico del legislatore, ma non osta alla declaratoria di infondatezza.