Inammissibile il quesito referendario sull’elezione del Parlamento
8 Regioni, di cui 6 a Statuto ordinario (Abruzzo, Basilicata,Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto) e 2 a statualità speciale (Friuli Venezia Giulia e Sardegna) sottoponevano alla Corte istanza di ammissibilità del quesito abrogativo, ai sensi ex art.75, 2 comma Cost., del DPR 30 marzo 1957, n.361, del D.Lgs. 20 dicembre 1933,n.533, della Legge 3 novembre 2017, n.165 e della Legge 27 maggio 2019, n.51, al fine di ottenere, attraverso la manifestazione della volontà elettiva, la rimozione della componente proporzionale con estensione della sola versione uninominale.
La giurisprudenza tematica, reiteratamente evocata dal consesso giudicante, consente l’effettuabilità di istanze referendarie alla condizione, ineludibile, che la normativa risultante sia idonea a garantire il funzionamento dell’organo parlamentare. Il testo proposto, inoltre, pur denotando univocità, risultava sprovvisto degli altri due parametri di chiarezza e omogeneità, ingenerando il rischio di stravolgere la finalità dell’istituto da abrogativo in approvativo o surrettiziamente propositivo.
Un ulteriore fattore di critica è stato rivolto sull’istanza di involgere anche la delega legislativa conferita ex L.51 del 2019, allo scopo di applicare la riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari. Le finalità delle parti proponenti avrebbero alterato la destinazione delle fonti delegate, le cui funzioni sarebbero state diversamente orientate ad integrare l’auspicata legislazione emersa dal voto popolare. Ne sarebbe conseguita un’azione alteratrice e stravolgente del testo primigenio delle norme, in palese contrasto con lo scopo di cui all’art.77 Cost. e con le competenze insite nella norma.
L’eccesso di delega e di manipolatività acclarati precludono la frammentazione del vaglio giurisdizionale, poiché una determinazione coerente e unitaria, alla luce delle motivazioni enunciate, perviene ad una declaratoria di inammissibilità della richiesta di referendum abrogativo.