Dichiarata illegittima la norma che non assicura adeguati trattamenti pensionistici agli invalidi
Una duplice questione di legittimità costituzionale, proposta dalla Sezione lavoro della Corte d’appello di Torino, è stata focalizzata in relazione all’art. 12, primo comma, della Legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5, e nuove norme in favore dei mutilati ed invalidi civili), «nella parte in cui attribuisce al soggetto totalmente inabile, affetto da gravissima disabilità e privo di ogni residua capacità lavorativa, una pensione di inabilità insufficiente a garantire il soddisfacimento delle minime esigenze vitali, in riferimento agli artt. 3, 38, comma 1, 10, comma 1, e 117, comma 1, Cost.» in addizione all’art. 38, comma 4, della Legge 28 dicembre 2001, n. 448, (Legge finanziaria 2002)», «nella parte in cui subordina il diritto degli invalidi civili totali, affetti da gravissima disabilità e privi di ogni residua capacità lavorativa, all’incremento previsto dal comma 1 al raggiungimento del requisito anagrafico del 60° anno di età, in relazione agli artt. 3 e 38, comma 1, Cost.».
Nella valutazione del rimettente si contesta l’insufficienza dell’importo della pensione di inabilità, fissato dalle normative analizzate nella cifra di 286,81 euro corrisposti mensilmente, poiché non ne conseguirebbero né il diritto al mantenimento né la distribuzione imparziale sanciti nella Carta fondamentale, accentuata dalla limitazione anagrafica ai soli ultrasessantenni dell’accesso a trattamenti retributivi potenziati verso chi, pur maggiorenne, non disponga del requisito determinato legislativamente.
La Corte addiviene all’accertamento di una inconciliabile difformità, in lesione dei parametri di equità ex art.3 Cost., delle disposizioni vigenti, soprattutto nella misura in cui neghino l’ ”incremento al milione” al mancato possesso di un vincolo di età infondato e irragionevole.
Le risultanze diacroniche del decisum impongono di ridurre la portata temporale all’effetto “ex nunc”, priva pertanto di valenza retroattiva, affinché gli equilibri di bilancio non subiscano alterazioni, ma, di converso, gli interessi della parte nel procedimento principale conseguano protezione e ristoro.
Sebbene la declaratoria di illegittimità non venga sminuita, il legislatore nazionale conserva inalterati i margini di valutazione discrezionale nella ridefinizione della materia, purché l’effettività dei diritti accertati e la protezione sociale siano di fatto garantite.