Conforme alla Costituzione la limitazione del potere di impugnazione del PM
La Corte di appello di Messina, nel ruolo di Giudice a quo, investe la Corte costituzionale della ipotizzata confliggenza dell’articolo 593 del Codice di Procedura penale, novellato ex art.2, comma 1, lettera a) del Decreto legislativo del 6 febbraio 2018, n.11 con gli articoli 3, 27, 97 e 111 della Costituzione, rimarcando un potenziale disfavore, a carico del Pubblico Ministero, nella misura in cui preclude la possibilità di impugnazione di sentenze di condanna a pene minori rispetto alla gravità dei fatti accertati, in confronto con le maggiori possibilità accordate all’imputato.
I rilievi di violazioni delle norme evocate risultano completamente irricevibili giacché, ai sensi dell’art.111, la parità tra le parti processuali non implica l’identità tra le stesse e, nello specifico, è compatibile con il sistema processuale penale una “asimmetria strutturale” originata dalla peculiarità funzionale della pubblica accusa.
Le disfunzioni immaginabili sono, tuttavia, superate dal contemperamento delle finalità istitutive esperite dagli Uffici delle Procure e dall’impostazione ragionevole garantita dalla vigenza delle nuove disposizioni, volte a tutelare i diritti basilari della parte privata. Il potere di gravame esercitabile dall’accusa non deve, mai, essere equivocato con il vincolo dell’obbligatorietà dell’azione penale sancito ex art.112 Cost, né devono omettersi le distinte aspettative che ispirano ruoli e comportamenti dei soggetti interessati. In tal senso, l’art.14, paragrafo 5 del Patto internazionale sui Diritti civili e politici, in combinazione con l’art.2 del Protocollo n.7 alla CEDU, da tempo vigenti nella legislazione italiana, disciplinano un favor rei nell’effettuazione delle istanze a giurisdizioni superiori, senza citare la pubblica accusa.
I riferimenti all’art.97 non sussistono, poiché le inefficienze funzionali andrebbero ascritte agli organi della Procura e non alla magistratura giudicante e, acclarato che le esigenze della ragionevole durata procedimentale legittimano la soluzione normativa criticata, ne deriva che l’insieme delle questioni formulate deve essere rigettato in quanto totalmente infondato.