Le inadempienze dei genitori separati non sono punibili con la doppia sanzione
Nel ruolo di rimettente il Tribunale ordinario di Treviso ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 117, primo comma Cost., tre distinte questioni di legittimità costituzionale dell’art. 709 -ter, secondo comma, numero 4) del Codice di Procedura civile, nella parte in cui prevede che, nell’àmbito di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il genitore che abbia posto in essere atti che arrechino pregiudizio al minore sia passibile della «sanzione amministrativa pecuniaria» da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro, in favore della Cassa delle ammende, per l’inadempimento all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, previsto, come nel caso di specie, dalla sentenza di separazione coniugale in favore della figlia minorenne.
Nella argomentata valutazione del proponente si rinviene una manifesta elusione del divieto del ne bis in idem, avallata dalla giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo (Corte EDU), appositamente evocata e ritenuta conferente con la vicenda processuale principale. Benché dalle decisioni menzionate nell’Ordinanza emerga la commistione tra le due espressioni sanzionatorie, il divieto è eccepibile sia in una logica di tutela multilivello dei diritti sia nel riconoscimento, in forza di risultanze oggettive, della continuità temporale e della consecutività logica tra i singoli procedimenti.
La deroga al rigoroso principio, assorbita anche ex art.50 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), scaturisce nella sola ipotesi in cui le decisioni risultino complementari e integrate, non simmetriche e parallele, come evincibile dalla valutazione costituzionalmente orientata del disposto analizzato. Non inficia l’assunto motivazionale la rilevazione dell’entità rimarchevole della pena pecuniaria destinata, tuttavia, a beneficio della Cassa delle ammende e non della controparte danneggiata. L’opzione prescelta dal legislatore qualifica le finalità originarie della norma, caratterizzandola per la propria peculiarità meramente amministrativa e contrapponendola alle ben connotate risultanze afflittive.
Nella motivazione della Corte la declaratoria di infondatezza delle prospettazioni assume l’inevitabilità delle scelte, in forza delle ragioni addotte e delle accurate valutazioni esperite.