La normativa sul furto di abitazione è conforme ai parametri di costituzionalità
Con la sentenza n. 216 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 656, comma 9, lett. a), Codice di Procedura penale, eccepite, in relazione agli artt. 3, comma 1, e 27, comma 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Agrigento, Sezione prima penale, nella parte in cui stabilisce che la sospensione dell’esecuzione di cui al comma 5 della medesima disposizione non può essere concessa ai condannati per il delitto di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis, comma 1, Codice penale, come modificato dalla Legge n.125 del 24 luglio 2008 (Misure urgenti in materia di pubblica sicurezza).
Il giudice a quo contestava la confliggenza delle norme penali con l’effettiva gravità sia del fatto criminoso sia delle conseguenze scaturenti, evidenziando una disparità con situazioni e circostanze di maggiore pericolosità sociale.
La Corte stabilisce che il reato di furto in abitazione potrebbe, per la dinamica applicativa, degenerare nella più pericolosa fattispecie della rapina aggravata tale da aver indotto il legislatore, nel pieno esercizio dell’autonomia istituzionale delle proprie attribuzioni, ad escludere i condannati dall’accesso ai benefici detentivi.
Risulta infine infondata l’inaccessibilità alle misure alternative, poiché il Tribunale di sorveglianza è, nella sua struttura collegiale, in grado di valutare con ampiezza le prospettazioni della parte interessata, cui non viene preclusa la trattazione individualizzata della condotta. La regolamentazione sostanziale della materia, di converso da quella processuale, riconosce l’attribuzione di misure alternative sin dalle fasi iniziali dell’applicazione sanzionatoria, pur nella distonia, rilevata dalla Corte, tra i due profili regolatori della tematica, sulla quale sarebbe auspicabile un intervento di armonizzazione legislativa.