Il sillogismo del terrore. Perché legittimiamo gli interventi militari illegali
di Emanuele Greco
Come noto, la Carta Onu sancisce l’illiceità della minaccia o dell’uso della forza “contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato” o “in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite” (art. 2.4). Sono eccezioni (art. 51):
- le azioni del Consiglio di Sicurezza volte a “mantenere o ristabilire la pace o la sicurezza internazionale”;
- l’esercizio del diritto di autotutela individuale o collettiva in risposta ad un attacco armato altrui.
Tuttavia, dopo l’11.9.01, la comunità internazionale ha esteso l’applicabilità della legittima difesa anche al caso di attacchi di gruppi non-statali autonomi. Infatti, sulla convinzione che ogni azione militare contro Al-Qaeda fosse un atto di legittima difesa, gli Usa iniziavano l’intervento in Afghanistan con l’autorizzazione dell’Onu (Ris. CdS nn. 1368/’01 - 1373/’01) e del Congresso americano (che il 14.9.01 rilasciò l’Authorization for the Use of Military Forceper consentire l’impiego di ogni mezzo necessario a perseguire i responsabili, otre che per prevenire ulteriori attacchi contro gli americani in patria e all’estero).
Sebbene, la Carta non impedisca di rispondere con la forza armata contro attacchi di un attore non-statale privo della direzione o complicità di uno Stato, è necessario che esso sia organizzato con un nome, una leadership, una gerarchia, una struttura e un territorio sotto controllo; inoltre, l’azione deve avere carattere transnazionale (combattenti e/o armi provenienti dall’esterno dei confini nazionali al fine preciso di compiere l’attacco) ed essere decisa, pianificata, finanziata, realizzata e rivendicata lungo la propria catena di comando. Dunque, per reagire legalmente con le armi in territorio altrui, non basta che l’azione sia pianificata e condotta da singoli simpatizzanti che condividono gli scopi o la fede del gruppo e/o cerchino di emularlo, anche se indottrinati, plagiati o ispirati dalla sua propaganda globale (specie se tali soggetti sono cittadini dello Stato vittima).
Negli anni successivi, poi, il diritto di autotutela è stato interpretato ancor più estensivamente, al fine di giustificare l’uso prolungato della forza contro “Stati canaglia” e nuovi attori non-statali.
Ne “La strategia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti” presentata da Bush al Congresso nel settembre ’02, si legge “la legittima difesa verrà esercitata dagli Stati Uniti ogni qualvolta si renda necessario prevenire un’imminente minaccia o attacco con armi di distruzione di massa o atti di terrorismo” (cd “legittima difesa preventiva” o “Dottrina Bush”). Questa dottrina è la base teorica della Global war on terror ovvero il contrasto armato diffuso e permanente al terrorismo internazionale. L’11.09 rappresenta un momento cruciale, non solo perché la comunità internazionale riconosce per la prima volta il diritto di legittima difesa contro gruppi non-statali autonomi, ma perché fornisce il pretesto per qualificare tutta la successiva attività di contrasto al terrorismo come vero e proprio conflitto armato e, quindi, rendere i potenziali terroristi (anche individui autonomi) obiettivi sempre legittimi di interventi militari. La loro continua uccisione (targeted killings) in territori di forte instabilità politica (Yemen, Somalia, Pakistan), oltre che di conflitto, è una delle misure più utilizzate, specie tramite droni. Anche B. Obama ha accolto di fatto tale dottrina dato che l’uso di droni armati in operazioni di contro-terrorismo ha raggiunto l’apice durante la sua presidenza.
Tuttavia, la mera esistenza di un attore apertamente ostile, statale o non, capace di condurre attacchi armati non autorizza di per sé il potenziale Stato vittima a utilizzare la forza. Al contrario, lo Stato deve prima ragionevolmente appurare che l’ostilità sia maturata in una decisione attuale di attaccare (imminenza). Il diritto non matura fino a quando un ulteriore ritardo nell’azione priverebbe del tutto la vittima della possibilità di difendersi (autotutela anticipatoria). Fino a tale punto, si può ricorrere unicamente a contromisure non forzose e rinviando la questione al Consiglio di Sicurezza.
La “Dottrina Bush” antepone gli interessi nazionali all’osservanza del diritto internazionale in luogo di un conflitto armato esportabile in qualsiasi luogo geografico e destinato a concludersi quando la vaga minaccia terroristica sarà definitivamente sventata.
Essa, dunque, è illegale e non condivisibile perché:
- non ha basi giuridiche a livello pattizio o consuetudinario;
- viola il Diritto Internazionale dei Diritti Umani e lo ius ad bellum. Senza il consenso dello Stato territoriale viola la sua sovranità. Con il consenso, in un Failed Stateo in spazi internazionali è comunque “incompatibile con i fini delle Nazioni Unite” (art. 2.4 Carta Onu);
- il diritto di legittima difesa esercitabile in Afghanistan dopo l’11.09 non può essere esteso nel tempo, perché l’organizzazione responsabile dell’attacco (Al Qaeda) è stata ridimensionata, smembrata e/o assorbita da altre realtà e il suo capo - O. Bin Laden - eliminato;
- non è compatibile con il Diritto Costituzionale americano. L’AUMF del Congresso non è più efficace perché si rivolge ai responsabili dell’11.09. Serve una nuova autorizzazione per esercitare la forza armata contro nuove minacce;
- è controproducente. Uccisioni arbitrarie, danni collaterali in tempo di pace ed errori nell’individuazione dei target rafforzano il supporto popolare al terrorismo internazionale che prolifera per numero di gruppi/individui che ricorrono a questa tecnica e di attentati (i droni consentono di sferrare attacchi al sicuro da ogni risposta, aumentando la disparità tra le parti e l’impotenza-frustrazione di civili trasformati in obiettivi di guerra).
Nonostante ciò, l’opinione pubblica occidentale legittima la Global war on terror (di Usa e alleati). Non perché amante della guerra, ma perché spaventata e impossibilitata ad esprimersi con coscienza. A causa dell’assenza di copertura legale di questo modus operanti (legittimità) e della complessità dell’argomento, media, esperti ed istituzioni rafforzano la legittimazione pubblica ad usare la forza, mescolando i fenomeni della criminalità interna e dei conflitti armati. In particolare si verificano due artefatti:
- Artefatto quantitativo - Strumentalizzazione dell’ignoto o delle caratteristiche identitarie: tendono a classificare gli eventi di cui ancora non si conoscono cause, conseguenze e autori come terrorismo internazionale: “Esplosione nel centro urbano. Possibile attentato”. Oppure sfruttano l’origine straniera, l’identità o la religione degli autori di reati ordinari (omicidi, sequestri, distruzioni) per etichettarli come episodi di terrorismo: “Soldato ucciso a Londra con un machete da ragazzo islamico: terrorismo!”. Altresì, considerano terrorismo le attività ordinarie dei gruppi non-statali di matrice religiosa condotte contro obiettivi militari durante un conflitto asimmetrico (sparatorie o attacchi kamikaze).
Questo primo artefatto, aumenta la percezione del fenomeno terrorismo, anche di fronte a semplici incidenti, reati ordinari privi della finalità di terrorismo o episodi “normali” di conflitto. - Artefatto qualitativo - Omologazione degli autori: Allo stesso tempo considerano il terrorismo internazionale di matrice religiosa come un fenomeno unitario di guerra, rappresentato da persone coperte sventolanti kalashnikov e bandiere nere. Questa narrazione, omologa senza distinzione: a) i diversi gruppi che effettuano veri e propri attacchi armati di stampo terroristico in zone di conflitto o in Stati stabili e pacifici; b) singoli individui che commettono autonomamente crimini ordinari di terrorismo.
Questo secondo artefatto fa percepire ogni episodio di terrorismo, anche quando ha natura di reato interno, come un attacco armato. “Siamo in guerra contro il terrorismo” si sente sempre, come se esistesse un unico e fantomatico nemico da contrastare.
Questi artefatti generano il seguente schema mentale (Sillogismo del terrore - Fig. 1):
- il terrorismo aumenta ovunque o non diminuisce;
- ogni episodio di terrorismo è un attacco armato;
- gli attacchi amati aumentano ovunque o non diminuiscono.
Esso falsa la percezione quantitativa e qualitativa (natura giuridica) del fenomeno, a prescindere dai singoli episodi, dal luogo e dalla loro intensità, generando l’illusione della necessità di un conflitto armato globale e perpetuo, durante il quale pace e stato di diritto si sacrificano in nome della sicurezza. Di conseguenza, si rafforza la legittimazione dell’opinione pubblica di fronte all’utilizzo della forza armata contro attori non-statali sparsi nel mondo.
Tuttavia, considerare ogni azione commessa in tempo di pace o di conflitto da una persona o un gruppo con una certa identità, radicalizzata o ideologizzata come atto di terrorismo è sbagliato e discriminatorio. Altresì, è errato descrivere il terrorismo internazionale sic et sempliciter come controparte unica di un conflitto globale e pertanto considerare ogni atto di terrorismo come attacco armato.
In realtà, il terrorismo costituisce la finalità (risultato) di condotte illecite che possono essere commesse sia in tempo di pace sia durante conflitti armati, per ragioni diverse, da individui o gruppi distinti e identificabili (il narcotrafficante Pablo Escobar; il gruppo Brigate Rosse; l’organizzazione Cosa Nostra...).
L’aumento dell’instabilità e delle disparità sociali spinge le persone a commettere reati e attacchi armati di natura terroristica. Gli episodi crescono continuamente e diventano più difficili da prevenire. Di conseguenza, di fronte alla confusione causata dal Sillogismo del terrore e alla conseguente legittimazione, assistiamo all’intensificazione della Global war on terror.
Istituzioni e media, per capire e far capire le risposte lecite adottabili, dovrebbero dotarsi di una nuova etica e distinguere chiaramente:
- gli eventi da considerare come atto di terrorismo;
- quando un atto di terrorismo è un attacco armato o un semplice reato interno.
Dovrebbero valutare opportunamente gli elementi, la portata e gli effetti della condotta, la storia, la provenienza e l’identità degli autori per dimostrare con certezza la loro eventuale diretta appartenenza–subordinazione ad uno specifico gruppo armato non-statale transnazionale contro cui è possibile, solo in seguito o nell’imminenza di un attacco armato, difendersi con la forza.
L’opinione pubblica, dal canto suo, dovrebbe prendere coscienza della realtà senza farsi terrorizzare dall’idea di essere in guerra, per indurre i decision maker a fermare gli interventi militari illegali che destabilizzano il pianeta. Solo così, unitamente a operazioni militari lecite, di law enforcement e cooperazione internazionale, è possibile ottenere maggiore sicurezza.